È di venerdì scorso la notizia che il professor Umberto Veronesi, uno che di valore della vita se ne intende, ha deciso di sostenere la campagna a favore dell’abolizione dell’ergastolo. Risale a giovedì scorso la prima udienza del processo d’appello a carico di Salvatore Capone, sergente dell’Aeronautica, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio volontario aggravato ai danni della moglie Maria Rita Russo e il tentato omicidio dei loro due bambini di tre anni. La difesa vuole ottenere la riduzione della pena sulla base di una nuova perizia psichiatrica che vorrebbe Capone incapace di intendere e di volere al momento dei fatti. E risale allo scorso 11 novembre la morte di Antonetta Paparo uccisa con quattro stilettate al cuore dal marito, Pasquale Iamone, in circostanze ancora da chiarire. Sostiene il professor Veronesi, poiché il nostro cervello ha cellule staminali che possono colmare il vuoto lasciato dalle cellule cerebrali che scompaiono, che il carcerato dopo 20 anni può essere una persona diversa da quando ha commesso il reato. “Dunque l’ ergastolo non risponde al bisogno di giustizia” argomenta, “ma a quello di vendetta, per soddisfare la reazione istintiva ed emotiva dei cittadini. Ma non risolve il problema reale, che è quello di vivere in un Paese civile e avanzato, in cui la sicurezza individuale è tutelata da una giustizia equa.” Come abbiamo già detto, Veronesi, impegnato da decenni nella lotta contro il cancro, è persona che ben conosce il valore della vita. E lo rispetta, come tutti noi dovremmo rispettarlo. Ma il sergente Capone, che adesso invoca l’infermità mentale, ha dato fuoco a sua moglie alimentando le fiamme con la benzina acquistata il giorno prima. E Pasquale Iamone, che dice di aver ucciso Antonetta per esaudire il desiderio che lei aveva di morire, teneva in macchina uno stiletto. Quanti di noi hanno una tanica di benzina pronta in garage o uno stiletto nel portaoggetti dell’auto? Maria Rita Russo aveva due bambini di tre anni. Antonetta era madre di un bimbo. Melania Rea non vedrà mai crescere la sua bambina. Madri che mancheranno ai loro figli e noi, fortunati, non sapremo mai quanto. Figlie che mancheranno ai loro genitori costretti a sopravvivere al danno supremo. Le vite del sergente Capone, del caporal maggiore Parolisi e di tutti coloro che sono stati condannati all’ergastolo, meritano rispetto. Hanno un valore. Sono senz’altro vite defraudate del loro naturale sviluppo, anche ai sensi del dettato della Costituzione che, ci ricorda Veronesi, “all’articolo 27 recita che le pene devono essere tese alla rieducazione del condannato. Ma per chi è condannato a morire in carcere, il futuro si consuma nei pochi metri della sua cella, e senza futuro non ci può essere ravvedimento.” Ha ragione. Loro, i colpevoli, potranno cambiare e ravvedersi. La vita delle loro vittime, invece, sarà svanita. Come non avesse valore.
Laura Costantini
Ha ragione. Loro, i colpevoli, potranno cambiare e ravvedersi. La vita delle loro vittime, invece, sarà svanita. Come non avesse valore.
RispondiEliminaSì, va bene - ma il senso diq quest'articolo qual è?