Siamo nati negli anni '60 del secolo scorso. Ci hanno chiamati baby-boomer perché figli del boom economico, della scarsa programmazione Rai, della voglia di ricostruire il paese dopo le macerie della guerra. Siamo tanti. Siamo troppi. A scuola portavamo il grembiule col fiocco e facevamo i doppi turni, mattina o pomeriggio. Se andavi di pomeriggio eri quello sfigato, quindi circa la metà di noi si sono portati lo stigma della sfiga fin da allora. A casa non si dicevano parolacce, si rispettavano i genitori, lo scappellotto era educativo, gli anziani erano il verbo. E si era anziani già a 50 anni. Le madri erano quelle che prima di entrare in casa dei parenti per l'invito a cena ti si accosciavano davanti e con lo stesso sguardo della protagonista dell'Esorcista, scandivano: "Guai a te se mangi troppo, guai a te se prendi i dolci, guai a te se mi fai fare una brutta figura!" Quindi, a stomaco serrato, eravamo liberi di entrare, metterci seduti e, massimo della libertà, lasciar cadere la testa addormentata sul tavolo mentre i grandi parlavano, del tutto indifferenti alla nostra noia o voglia di alzarci e di giocare.
Troppo giovani per il '68, del '77 non ci abbiamo capito poi molto, a parte che parlare in tre per strada era pericoloso perché gli sbirri ti beccavano per adunata sediziosa. Ma solo se avevi le polacchette, il maglione, l'eskimo e la tolfa. Se portavi il bomber e i camperos potevi essere anche in venti e tutto si risolveva in una simpatica riunione tra amici.
Quelli che non si sono beccati pallottole vaganti durante una manifestazione, quelli che non si sono persi dietro un buco d'eroina, quelli che non si sono lasciati incantare dalla sirena dell'estremismo, hanno visto morire Aldo Moro, hanno letto cronache di gente che veniva gambizzata ma hanno continuato a pensare che se tu non ti occupi di politica, è la politica che si occupa di te. Intanto crescevamo. Abbiamo studiato, quasi tutti. Ci siamo laureati, quasi tutti. Il percorso ci era stato descritto e fornito come viatico: liceo, laurea, concorso, posto fisso.
L'ho già detto che siamo tanti? L'ho già detto che siamo troppi?
Fossimo nati un cinque-dieci anni prima sarebbe stato tutto diverso. Ma quando noi abbiamo cominciato a frequentare assurdi concorsi per posti nelle pubbliche amministrazioni con 300 possibilità per 100mila candidati (non sto esagerando, è capitato a me), le cose già stavano cambiando. Erano gli anni '80. Fighissimi, chi lo nega? Ci si vestiva colorato, la musica era stupenda, tutto sembrava possibile, il mondo era ai nostri piedi, bastava avere iniziativa. Co' 'sta storia dell'iniziativa, dell'imprenditoria, della flessibilità ce l'hanno messo in quel posto. Perché, scusate la ripetizione, i posti fissi erano finiti, catturati dai nostri coetanei dotati di opportune conoscenze. Gente che negli anni '70 era sulle barricate con una molotov in mano, grazie a mamma e papà negli anni '80 era su una Porsche con in mano una ventiquattrore e una poltrona comoda in banca.
Però ci credevamo ancora, eh... Altroché se ci credevamo. Con Craxi l'Italia era o non era una superpotenza? E allora? Allora facevamo i tre mesi alle Poste, spedivamo curricula cartacei a suon di francobolli, partecipavamo a concorsi. Nel frattempo, chi aveva un lavoro e un amore, si sposava e faceva pure i figli. Pochi, per la verità, che i figli nostri costavano e costano un'enormità. E ci proponevamo di essere genitori diversi da quelli che avevamo avuto e che nel frattempo, sempre più avanti negli anni, continuano a trattarci come ragazzini, a dirci di non far fare loro brutta figura... e a mantenerci. Eh sì. Perché nel frattempo la parabola del capitalismo ha cominciato la discesa, già negli anni '90, e la flessibilità/iniziativa personale è diventata co.co.co, co.co.pro, apprendistati, lavoro nero, precariato. Ma parlavamo di figli. Ora, nessuna madre della nostra generazione chiuderebbe lo stomaco del figlio a suon di minacce e, memore degli scappellotti e del lancio di cucchiarelle o zoccoli, nessuna mai alzerebbe un dito sul frutto dei propri lombi. Volevamo essere genitori migliori, giusto? Ebbene, abbiamo tirato su una generazione di smidollati, incapaci di avere un progetto di vita, impreparati perfino alla domanda: vuoi un sofficino o un uovo sodo?, sempre pronti alla rispostaccia. Con tutti: genitori, nonni, estranei, anziani, professori. Non rispettano nessuno. Soprattutto non rispettano noi.
Quindi, tirando le somme:
- non abbiamo avuto il posto fisso
- non abbiamo avuto una società più giusta
- non abbiamo avuto un ruolo nella società
- non abbiamo visto avverarsi i nostri sogni
- non ne abbiamo azzeccata una.
Presi a pizze dai genitori e ignorati dai figli, mai avuta voce in capitolo. Noi che (direbbe quel nostalgico di Carlo Conti) sempre al momento sbagliato.
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giovedì 31 gennaio 2013
Noi che sempre al momento sbagliato
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Non so dirti quanto sono d'accordo, e parlo per me e mio marito, sfigatamente coetanei, classe 1958.
RispondiEliminaIl nostro noi che recita più o meno così:
Noi che il nostro momento non è mai venuto e a questo punto ormai non arriva più.
Noi che abbiamo il muso più piatto di un pechinese e ancora insistiamo a sbatterci il grugno.
Noi che i sogni nel cassetto si son persi fra mutande e calzini.
Noi che dopo 34 anni ancora facciamo progetti per quel viaggio di nozze rinviato a tempi migliori....
Tutto giusto. Però: io ho inviato curriculum a destra e a sinistra e ho avuto colloqui su colloqui. Negli anni '80 mi sono potuta permettere di rifiutare assunzioni e di scegliere il posto più giusto per me. Nel 1990 mi sono potuta permettere di lasciare il lavoro e correre dietro al mio amore e al nostro progetto di un futuro.
RispondiEliminaVero, non ho chiuso lo stomaco dei miei figli, ma di scapellotti ne ho dati. Non sono serviti molto: rispondono, a tutto e a tutti, ma non perché non li abbia saputi educare con fermezza, semplicemente perché il mondo è cambiato, e sono "già nati cambiati" pure loro. Non vorrei mai e poi mai tornare alle teste impomatate di boccoli e ciuffi cotonati e frangette sparate degli anni 80, alle giacchine corte "avvitate" alle calze nere con la riga, al look "imprenditoriale" e "vincente", ma devo ammettere che è stato un bel sognare, e sì, la musica di quegli anni era qualcosa di spettacolare. Ma forse perché noi eravamo spettacolari. We were golden e non lo sapevamo.