Ci sono fenomeni contro i quali non si
può lottare. Oppure sì, ma con la
consapevolezza di non poter vincere. L'avanzata delle dune del Sahara. La
deforestazione dell'Amazzonia. L'innalzamento del livello delle acque. La
migrazione dei popoli. Sì, la migrazione dei popoli. Da quando esistono, gli esseri
umani migrano. Spinti dalla fame, dalla necessità di spazio, dalla paura, dalle guerre,
dai cambiamenti climatici, dalla speranza nel futuro. Spesso da tutte queste
cose messe insieme. Noi lo sappiamo. Ci siamo passati. Cerchiamo, e ci riesce
benissimo grazie alla scarsa memoria e la scarsa istruzione di cui meniamo
vanto, di dimenticarlo. In ogni caso, quando qualcuno prova a ricordarci che c'è stato un tempo in
cui eravamo noi quelli che rubavano il lavoro, compivano crimini, stupravano
donne ed erano brutti, sporchi e cattivi, ci chiudiamo a riccio. E ricordiamo
che il nostro bisnonno, la prozia o il lontano cugino erano bravissime persone,
grandi lavoratori e che, comunque, avevano il permesso di soggiorno e non
sbarcavano a tradimento sulle coste di lontani continenti. Vero, noi sbarcavamo
come i neri ai tempi della schiavitù: laceri, sporchi e con un debito quasi
inestinguibile sulle spalle, quello del biglietto e del passaporto rosso. Tempi
diversi, circostanze diverse, risultati identici. Ci odiavano. Gli abitanti del
posto, spesso immigrati a loro volta ma già lì da tempo, ci consideravano estranei,
alieni, invasori. Inferiori. C'è una scena di un film, bello e triste, che descrive, forse,
i sentimenti, le paure, le fobie e il senso profondo di quanto ci sta
succedendo. Il film è "Balla coi lupi". Le grandi praterie americane
erano e sono immense, ma la loro immensità era la base stessa di uno stile di
vita, quello dei nativi, che di mobilità e di ampi spazi si nutriva. Poi, come
sappiamo tutti, cominciarono ad arrivare i bianchi. Noi. Che arrivavamo con la
pretesa di disboscare, scavare, costruire, sezionare il corpo vivo della
prateria in quarti di cui cibarsi e non solo in senso metaforico. Distruggi,
costruisci, sporca, consuma. I nativi non capivano, nom potevano capire. Nella
scena di "Balla coi lupi" un nativo, saggio e simpatico, chiedeva a
Kevin Costner: "Quanti sono gli uomini bianchi?" e Costner, l'ex
soldato blu convertito alla spiritualità dei nativi, abbassava gli occhi e
rispondeva: "Tanti..." Tanti come le stelle in cielo, tanti come i
bisonti prima che i bianchi li massacrassero, tanti come le locuste delle
piaghe bibliche. I nativi americani tentarono di fuggire, di isolarsi nelle
zone più impervie, di lottare, anche. Ma l'avanzata dei bianchi era
uno di quei fenomeni inarrestabili con cui l'umanità si è trovata tante volte
a fare i conti. I nativi furono costretti a soccombere. I bianchi morivano
affrontando le difficoltà delle praterie, ma non si fermavano. Erano troppi per
poterlo fare. Oggi noi vediamo persone disperate affrontare il mare e morire, a
centinaia, a migliaia. Ma non si fermano, non si possono fermare. C'è un intero
continente di disperazione a premere alle loro spalle. E noi non possiamo
alzare barriere. Sarebbero inutili.
Laura Costantini
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