martedì 24 ottobre 2017

Doccia fredda #20 Lo strano caso della fioraia di West Norwood

Lo strano caso della fioraia di West Norwood
La bettola preferita di Arthur Dempsey sorgeva alle spalle della sede di Scotland Yard. E non era un caso, visti i contatti che foraggiava tra gli agenti della polizia metropolitana di Londra e gli inservienti dell’annesso obitorio diretto da Sir Lisander Orwell. Non si stupì, entrando in quel pomeriggio piovoso, di scorgere la nota sagoma di Oliver. Arthur scosse contro la coscia il cappello zuppo di pioggia, passò un fazzoletto sul volto e affrontò l’atmosfera fumosa e gravida di effluvi umani della bettola.
“Te lo fai un altro giro?”, chiese sedendo al tavolo occupato da Oliver.
L’uomo, portantino della Morgue e informatore prezioso, non alzò neanche la testa per accettare. Arthur fece cenno all’oste.
“Hai qualcosa per me?”, chiese offrendogli da fumare.
“Solo se hai voglia di ascoltare una storia strana. Tanto strana. Una di quelle che i lettori del tuo giornale non crederanno mai”
La voce era impastata dalle libagioni. Ma Arthur lo conosceva bene. E percepì l’ostacolo tra lingua e palato: paura. Oliver era spaventato a morte.
“Sono le storie migliori. Qualche cadavere si è ribellato al bisturi del dottor Orwell?” scherzò.
La mano massiccia dell’uomo scattò, contraddicendo la fissità mantenuta fino a quel momento, e artigliò il braccio di Dempsey.
“Non prendermi in giro, non stavolta, per Dio!”
Il cronista non si ribellò al contatto. Attese. La presa si sciolse e l’arrivo della birra distese per un attimo l’atmosfera. Intorno a loro il brusio delle voci, qualche rutto, l’esultanza di un tiro fortunato a freccette. Oliver si mosse, infilò una mano all’interno della giubba che puzzava di cane bagnato.
“Venti scellini”, biascicò. “Venti scellini o non se ne fa niente.”
“Lo sai che non compro a scatola chiusa, Oliver. Che nascondi lì dentro?”
Il portantino prese un lungo sorso di birra. Si pulì il labbro superiore sulla manica della giubba, poi pose sul tavolo una busta stropicciata.
Arthur sollevò il lembo ed estrasse una fotografia. Nella luce incerta della bettola fu costretto a piazzare sul naso gli occhiali per capire. Una tomba, una di quelle che venivano ingabbiate con una grata di ferro. Una protezione contro le sempre più frequenti razzie ai danni delle tumulazioni signorili. Questa la motivazione reale. Ma Dempsey sapeva che il popolino amava le storie macabre e che ogni tomba chiusa dalla grata diventava il riposo molto poco eterno di morti con la strana propensione a uscire dal loculo per tormentare i vivi. Vampiri, per lo più. E proprio un’illustrazione da penny dreadful sembrava quella foto. Tra il terreno e la grata c’era una donna. Difficile distinguerne le fattezze in quella foto dalla stampa granulosa. Ma l’espressione di quel volto fatto d’ombre era terrorizzata, le mani artigliavano la grata, come se la volessero scardinare per potersi sollevare e fuggire, la bocca era spalancata, una grande O indistinta, in un urlo muto.
Dempsey tolse gli occhiali e guardò Oliver.
“Che significa?”, chiese senza restituire la foto.
“Venti scellini.”
Il cronista ne mise dieci nel palmo calloso.
“Per il resto vediamo. Allora, che storia è?
Oliver incassò il denaro, prese un altro sorso di birra e confuse un sospiro con un rutto.
“Si chiamava Cheryl e vendeva fiori per sbarcare il lunario. Magari non vendeva solo quelli, ma è certo che le rose che proponeva ai passanti le rubava. Dalle tombe. Anzi, da una tomba. Quella della foto. Una morte recente, di una gran signora. Il guardiano del camposanto era amico di Cheryl e dice che la gabbia serviva a proteggere la salma. Era una donna ricca e l’hanno seppellita con addosso i gioielli. Ma la gente racconta una storia diversa. Dice che la gabbia serve a tenere a bada la malvagità di quella donna che ha spezzato molti cuori. E tutti giorni, sulla tomba, arrivavano rose bianche e rosse. Sembravano schizzate di sangue. Cheryl lo sapeva e le rubava per rivenderle.” Altro sorso di birra. “Ma la donna sepolta non era d’accordo.”
Oliver alzò gli occhi in quelli di Dempsey. “Nessuno sa spiegare come è successo. La gabbia di ferro battuto è saldata e nessun corpo umano può infilarsi lì dentro. Non tutto intero, per Dio. Eppure ieri mattina il guardiano ha trovato Cheryl in quel modo. Dentro quella fottuta gabbia, le mani aggrappate alle sbarre, gli occhi spalancati per il terrore e la bocca aperta. Ma non ha urlato, capisci? Non poteva. Sir Lisander ha detto che è morta soffocata. Qualcuno o qualcosa le ha cacciato in gola rose, tante, col gambo, le spine, le foglie, tutto. Quelle rose. Quelle bianche schizzate di sangue. Le rose che lei rubava alla morta.”
La storia c’era tutta, pensò Arthur mentre il portantino scolava il boccale.
“Voglio vedere la fioraia. Nella foto questa cosa delle rose non si distingue. Devo verificare.”
Oliver si strinse nelle spalle.
“Dammi i dieci scellini che mancano e torna stanotte.”
La solita prassi. Il cronista pagò. Uscì dalla bettola e attese in redazione che il buio finisse di addensarsi su Londra insieme alla nebbia e ai fumi dei comignoli. Oliver, più ubriaco di come lo aveva lasciato, lo aspettava per aprire la porta di servizio dell’obitorio. Un reciproco cenno della testa fu tutto ciò che si concessero, poi l’uomo lo guidò lungo il corridoio fino alla sala dove i corpi di morti ammazzati, suicidi e poveracci caduti sotto i colpi della fame, attendevano di essere ammassati in una sepoltura comune. Arthur mise davanti a bocca e naso un fazzoletto spruzzato di olio essenziale per resistere al fetore mentre sfilavano tra le barelle.
“Eccola”, annunciò Oliver indicando una sagoma sotto un telo. “Era bella, da viva.”

Poi alzò la lampada e la scoprì. Fu il primo a urlare. Dempsey mise più di qualche istante a capire cosa stesse guardando. Rovi, rami, tralci spinosi. Appena la luce della lampada li rese distinguibili, cominciarono a muoversi come serpi, serrando le membra illividite da cui traevano nutrimento. Ciò che restava di Cheryl era ancora visibile nel volto e l’urlo che Arthur aveva trattenuto fiorì come la bocca disarticolata della morta. Una rosa. Una piroette subitanea di petali candidi, vellutati e osceni si schiuse tra quelle labbra cianotiche. E rivelò un vortice scarlatto e palpitante. Vivo. 

1 commento:

  1. Mi chiedo la ragione di aver ambientato la storia a Londra, forse per usare la suggestione della nebbia londinese.
    Credo che la location romana avrebbe offerto maggiori scelte narrative, oltretutto con una location unica: piazzale del Verano. Ci sono le fioraie, il cimitero, l'istituto di medicina legale e le cantine del Quartiere San Lorenzo a due passi.
    Non mi ha convinto, troppo banale e troppi luoghi comuni.
    Raffaele Abbate



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