Questo romanzo è una sorpresa. Non avevo mai letto nulla
di questa autrice e ho scoperto una capacità di narrazione sorprendente. E una
profondità, anche, che non mi sarei aspettata dal titolo, dalla copertina,
dalla sinossi. Ethan, il protagonista, è un ragazzino di diciassette anni. Ed è
un supereroe come solo alcuni adolescenti riescono a esserlo comprendendo in sé
la maturità che viene dalla sofferenza di una situazione familiare terribile e
le fragilità e le incapacità legate al suo essere, appunto, un ragazzino.
Responsabile nel cercare di prendere in mano la propria vita, nonostante
genitori inadatti al ruolo, a dir poco. Forte nel gestire le umiliazioni dei
bulli. Eppure fragilissimo per i troppi colpi ricevuti e per la consapevolezza
di non essere mai stato amato. Il messaggio di questa storia, così tenera e
intensa, è che ad amare si impara. Ma devi avere dei maestri. E quelli di Ethan
hanno i volti di una donna anziana, Aida, e di una ragazzina crossdresser,
Melissa. Va detto, anche, che Ethan sarà un allievo difficile cui viene spesso
voglia di appioppare uno scapaccione. Ma proprio per questo, alla fine, Ethan è
un ragazzo vivo e vero. Consigliato. Di cuore.
Vi innamorerete di Ethan, promesso.
E ora le domande all'autrice.
Mi incuriosisce la personalità di Melissa La Farina, vuoi
parlarcene?
La caratteristica più importante della personalità di
Melissa, quella su cui si fonda tutto ciò che la riguarda, è la refrattarietà
verso tutto ciò che è pre-ordinato. Tutto deve avere un motivo, e se il motivo
è “perché si fa così”, lei non la ritiene una risposta valida, anzi: spesso la
considera una autorizzazione a fare l'esatto contrario.
Secondo pilastro della sua personalità è il crossdressing,
che altro non è che espressione di un'identità gender fluid: il primo concetto
pre-ordinato al quale si ribella fin dalla più tenera età è proprio quello che
stabilisce che chiunque debba appartenere a un genere sociale ben
definito, scelto per lui o lei alla nascita in base alla biologia tra sole due
categorie, senza possibilità di svicolarne e dovendo attenersi scrupolosamente
a tutte le regole comportamentali a esso legate. Melissa invece sceglie di
seguire il proprio sentire, indipendentemente da ciò che la società si aspetta
da lei.
Non le interessa di avere l'approvazione di coloro che la
circondano, salvo rare eccezioni, né sente il bisogno di stare in compagnia di
qualcuno e questo fa di lei una persona coerente e decisa ma a volte scostante,
che infatti si muove parallelamente ai propri coetanei, più che in mezzo a
loro. Le piace provocare, portare i concetti e gli atteggiamenti all'estremo,
per fare una sorta di scrematura tra chi ritiene meritevole del suo tempo e dei
suoi affetti e chi no.
La madre di Ethan, troppo facile odiarla eppure lui si
sforza di capirne le motivazioni; come hai elaborato quel personaggio?
Sia la trama che avevo in mente, sia la personalità di Ethan
come intendevo svilupparla, richiedevano almeno un antagonista che rendesse la
storia personale del protagonista travagliata fin dall'inizio. Scegliere la
madre per quel ruolo è stato piuttosto semplice, anche se meno semplice è stato
poi costruirne le caratteristiche senza farla diventare una macchietta.
Il presupposto fondamentale è che la cattiveria pura e innata
è qualcosa che raramente esiste, e che chiunque la perpetra sicuramente ha una
storia alle spalle che spiega da che cosa essa si origini. Costruire un
antagonista significa trovare l'interruttore che fa scattare la sua voglia di
fare del male.
Come Melissa, anche Mara è stata intrappolata da un
presupposto sociale, lo stereotipo secondo cui
tutte le donne devono per forza voler essere madri, e desiderano
affrontare col sorriso sulle labbra tutte le difficoltà e i sacrifici che la
maternità comporta. Lo stereotipo che vuole che chiunque abbia due cromosomi X
possiede istinto materno a vagonate. Ma quando mai?!
Mara però doveva restare nella vita di Ethan, almeno fino a
un certo punto: da qui l'egocentrismo, l'infantilismo e un'insicurezza di
fondo, nascosta dietro un muro di aggressività, che la rendono incapace di
staccarsi dal nido paterno e vivere la sua esistenza come l'avrebbe voluta lei.
Una persona che ha letto il romanzo tempo fa mi ha detto che
le sarebbe piaciuto seguire ulteriormente lo sviluppo e la crescita di questo
personaggio. Chissà, magari un giorno scriverò ancora di lei.
Matteo, il figlio di Aida, è una vittima, eppure quando
lo conosciamo incontriamo un vero stronzo, anche qui mi piacerebbe capire: come
hai costruito il personaggio?
Matteo rappresenta a sua volta l'opposizione a uno
stereotipo (anche se in questo caso non è lui che lo combatte), quello che
vuole identificare in toto chi subisce un torto al suo ruolo di vittima. Spesso
si ha l'idea che se una persona è vittima, allora è per forza buona o,
viceversa, se non è buon allora non può essere una vittima.
Non è vero, la realtà è più complessa di così e un essere
umano non può essere ricondotto unicamente a qualcosa che ha fatto o subito. Lo
stesso vale per i personaggi di un romanzo: a dare loro complessità e
verosimiglianza non è il loro ruolo, ma le sfumature che si riesce a pennellare
loro addosso, sfumature che possono anche essere in contrasto tra di loro… o
apparentemente in contrasto, dato che subire una qualsiasi forma di violenza
non esenta dal perpetrarne a propria volta.
Questo è il ragionamento che sta alla base della scelta di
rendere Matteo figlio di suo padre: in fondo, quando si ha un pessimo esempio
in casa, lo si può combattere o si può finire per somigliargli.
Devo ammettere che all'inizio non è stata una scelta
conscia: me lo sono ritrovato sulla pagina così, altezzoso e superbo. Quando me
ne sono resa conto, ho pensato se non fosse meglio ricondurlo all'archetipo
della vittima, ma ho preferito proseguire lungo questa strada, ritenendola
forse più azzardata, ma anche più genuina.
Se invece con la tua domanda intendevi chiedermi come ho
fatto a costruirlo così stronzo, beh, a volte basta semplicemente
guardarsi intorno per trovare ottimi esempi da cui prendere spunto!
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