Ciò che colpisce nella tragedia sono le storie minime. Spesso
la tragedia è troppo grande, troppo distante, troppo imprevedibile o
indecifrabile per toccarci veramente. Siamo assuefatti alla morte, purché
distante, estranea, reiterata. Le stragi del sabato sera, le morti sui posti di
lavoro, l’infinito rosario di attentati in medio Oriente, sciagure aeree o
marittime. Sono titoli su un giornale, sono lanci di un notiziario. Sono,
sempre più spesso, immagini tremolanti girate con un cellulare da un reporter
improvvisato. E tutto resta in superficie fino a quando non si scoperchiano i
particolari, le coincidenze, le fatalità. Quello appena trascorso è stato un
weekend di sangue per il nostro paese. In un sabato da corsa in spiaggia per la
prima tintarella, ci siamo svegliati con la notizia di un attentato. Un
attentato a una scuola. Una scuola intitolata a Francesca Morvillo Falcone. Una
scuola premiata per l’impegno civile contro la criminalità organizzata. Ma pur
sempre una scuola. Un istituto tecnico frequentato per lo più da ragazze. Ci
dicono che Brindisi è zona di mafia, la Sacra
Corona Unita. Ci dicono che stavano per arrivare don Luigi
Ciotti e la marcia per la legalità. Ma la nebbia dei perché non si disperde
mentre i notiziari ci ripropongono l’asfalto annerito dal fuoco e chiazzato di
quaderni, libri, zainetti. Neanche il tempo di riflettere e un nuovo risveglio
di sangue saluta una domenica grigia: una scossa di terremoto, devastante come
quella dell’Aquila. Sesto grado della scala Richter in un punto dove non te lo
aspetteresti: piena pianura padana, tra Modena e Ferrara. Asfalto sfregiato,
muri crollati, palazzi sventrati, chiese e castelli millenari sbriciolati.
Immagini purtroppo consuete. L’Aquila è lì, ancora infranta a ricordarci il
dramma a tre anni dalla scossa. Una tragedia dietro l’altra in un periodo in
cui neanche la disinformazione di certi notiziari giovanilisti riesce più a
convincerci che passerà, che andrà meglio. Potremmo dirci assuefatti,
indifferenti se a squarciare il velo non arrivassero le storie minori. Le
persone. Melissa aveva 16 anni e delle belle foto sul profilo Facebook. Era una
pendolare e le toccavano levatacce per arrivare a scuola in orario. Anzi, in
anticipo. Come in anticipo sono esplose quelle tre bombole di gpl. Melissa e la
sua amica Veronica investite in pieno. Melissa morta, Veronica devastata. Mentre
andavano a scuola. Invece Nicola e Tarik erano a lavoro. Nicola aveva 35 anni e
sostituiva un collega malato. Tarik ne aveva 27 e preparava i documenti per
portare la famiglia in Italia. Due aziende diverse, stesso turno di notte. La
scossa li ha sorpresi nei capannoni, ha accartocciato le strutture. Li ha
uccisi. Storie minime come ne abbiamo sentite tante. Persone normali, con vite
normali. È questo a colpire. Forte. Perché un qualsiasi weekend può
trasformarsi in una prima linea e una qualsiasi vita può diventare morte. Come
in trincea.
Laura Costantini
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