La sveglia di casa Melchiorri aveva quattro zampe gelide, un folto pelo nero e l’alito di un fogna. Fausto aprì gli occhi alla quarta leccata e spinse via Amleto con lo stesso movimento con cui si estrasse dal calore delle coperte. Oltre le tende il buio era totale e si insinuava nella stanza insieme al freddo umido regalato dal parco. Rinunciò alle ciabatte e zampettò sul pavimento freddo fino al bagno. Amleto lo seguì e rimase a guardarlo mentre vuotava la vescica evitando accuratamente il proprio profilo riflesso dallo specchio a figura intera. Un’idea di Patrizia, mutuata da non sapeva più quale rivista di arredamento. Messo lì per lusingare la vanità di sua moglie, ma con l’effetto collaterale di sbattergli in faccia la lenta eutanasia dei suoi addominali. Fausto azionò lo sciacquone e il mugugnare infastidito di sua moglie alleviò la quotidiana umiliazione dello specchio. Infilò la vecchia tuta di pile, chiuse la lampo del giubbotto e prese il guinzaglio zuppo di bava dalle fauci di Amleto.
La notte sembrava intenzionata a condividere con lui la passeggiata tra le nebbie del parco e la sigaretta. Il sapore della Camel Light era l’equivalente dell’alito fetido del terranova che gli trottava giulivo accanto, ma quello era l’unico momento in cui poteva concedersi di aspirare il tabacco fino in fondo con la soddisfatta consapevolezza di farsi del male. E lo doveva ad Amleto. L’unico fottuto momento di libertà che gli restava, lo doveva a un cane che non aveva voluto, che gli contendeva gli spazi vitali e che se non fosse stato per lui avrebbe vuotato le viscere sul parquet da 350 euro al metro quadro.
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti non espressamente firmati e/o sgradevoli verranno cancellati dalle proprietarie di questo blog.