Il 18 dicembre del 1935, in quella che venne
considerata una delle più grandi mobilitazioni di spontaneo patriottismo mai vissute
in Italia, 37 tonnellate d'oro, per la maggior parte sotto forma di fedi
nuziali, vennero donate alla patria in risposta alle sanzioni inflitte
all'Italia fascista per l'invasione del territorio etiopico. Ovviamente,
nonostante gli annali annoverino numerosi nomi illustri tra cui quello della
regina Elena e di Rachele Mussolini (che consegnò mezzo chilo d'oro e un paio di
quintali d'argento), il grosso delle donazioni fu popolare. Donne e uomini che
gettarono sulla bilancia gli unici monili mai posseduti: la fede nuziale e la
catenina col crocifisso. Un gesto importantissimo. Un gesto anche doloroso, non
tanto per il valore in sé, quanto per il simbolo. Se si escludono i ricchi di ieri e
di oggi, la maggior parte di noi custodisce gelosamente gli oggetti d'oro e ne
piange la perdita, in caso di furto o di necessità, lamentandone il valore sentimentale.
La catenina del battesimo, l'orologio della cresima, l'anello di fidanzamento,
la fede nuziale, gli orecchini per l'anniversario importante, il gioiello a
ricordo della laurea. L'oro ha un valore che travalica le quotazioni. Anzi, lo
aveva. Da quando la crisi ha addentato con ferocia le risorse delle persone
comuni, di quelle che vivono di stipendio, si sono moltiplicati come virus
malefici i cosiddetti compro-oro.
Una
vetrina oscurata, una scritta di colore squillante, un cubicolo e una bilancia,
spesso taroccata, bastano e avanzano per lucrare sul bisogno. Perché è innegabile che c'è chi si trova con
l'acqua alla gola ed è costretto, nella speranza di tirare avanti un altro mese,
un'altra settimana, un altro giorno, a impegnare le gioie di famiglia. Oppure a
venderle, commutando ricordi e dignità in un pugno di spiccioli. Provate a
sostare fuori da un banco dei pegni o davanti a un compro-oro e a spiare i
volti di chi ne esce. Sono i volti di chi, volontariamente costretto e
l'ossimoro è voluto, si è dovuto arrendere e consegnare l'oro a una patria matrigna.
Senza averne in cambio neanche le ossidate fedi di ferro che il regime fascista
consegnò a imperituro ricordo del nobile gesto compiuto. Tutto
normale. Tutto nell'ordine delle cose quando l'economia vacilla sull'orlo del
baratro. Quello che non è normale, e non deve neanche sembrarlo, è che a questo
mercimonio dei valori e dei ricordi prestino il volto artisti di una certa
notorietà. Gente cui è stato affidato il compito di sminuire la portata del gesto,
cedere aurei momenti della vita propria e della propria famiglia in cambio di
spiccioli, e di renderlo auspicabile. Così vediamo un famoso attore comico, che
di sicuro mai si è dovuto accostare a simile rinuncia, interpretare un
vacanziero soddisfatto di aver venduto i monili di casa per potersi concedere
una crociera. O un altro che vanta l'uso di un'apposita app per bloccare il
prezzo più vantaggioso al grammo e poi correre a liberarsi
dell'inutile bagaglio aureo. Magari per acquistare il nuovo modello di
smart-phone. Una volta l'oro si dava alla patria. Adesso lo cediamo al rilancio
dei consumi.
Laura Costantini
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