Non siamo
immortali. Ma ci sono esseri umani che
l'immortalità se la sono guadagnata. La
loro esistenza terrena è conclusa
da tempo, ma il loro nome viene ricordato con deferente rispetto. E la loro
arte tramanda emozioni, sensazioni, la parte più
profonda del loro essere umani. Di fronte ai quotidiani, laici rosari di
notizie negative, può sembrare
sciocco soffermarsi su quanto compiuto dalla misconosciuta signora Olga Dogaru.
Eppure c'è chi ha proposto di accusarla
di crimini contro l'umanità. E non ha
esagerato. Perché quelli che lei ha distrutto
per tutelare il figlio e i suoi complici non erano semplicemente quadri. Erano
frammenti di immortalità. La
notizia è nota. A ottobre 2012 sono
stati trafugate dalla Kunsthal di Rotterdam sette tele fra Picasso, Monet,
Freud e Matisse. Indagini internazionali hanno condotto gli inquirenti fino al
romeno Radu Dogaru e altri due connazionali. Chissà
quale insano impulso li ha spinti a rubare opere talmente note e talmente
preziose da essere di fatto invendibili. L'ipotesi di un furto su commissione
di qualche miliardario collezionista senza scrupoli decade davanti
all'incapacità di Radu e compagni di
monetizzare il furto e dileguarsi. Ed è
qui che entra in campo il più ottuso
degli affetti materni. Quando Radu e compagni sono stati arrestati dalla
polizia di Bucarest, la signora Olga, custode del bottino, ha acceso il forno a
legna e ha dato fuoco a milioni di euro, a opere d’arte
irripetibili, a frammenti di storia che ci appartenevano, a briciole
dell'immortalità di quei grandissimi artisti.
Addio al Ponte di Waterloo di Monet, alla Testa di Arlecchino di Picasso, alla
Ragazza che legge in bianco e giallo di Matisse. Si dirà
che abbiamo perso vecchia tela, vecchi colori, legno, chiodi. Esistono cose
peggiori al mondo e ne veniamo messi a conoscenza ogni santo giorno. Ma c'è
qualcosa di profondamente inquietante nel gesto di prendere capolavori simili,
metterli in un forno e accendere il fuoco. Non è
un atto vandalico, come lo fu quello di Laszlo Toth che prese a martellate la Pietà
di Michelangelo nel 1972. Lì c'era la
follia imprevedibile di un uomo malato. Qui c'è
la lucida decisione di una donna nel pieno delle sue facoltà,
convinta che la salvezza di un figlio dal carcere valga più
di opere che la gente ammira in tutto il mondo. C'è
di sicuro ignoranza rispetto agli oggetti che affastellava in un forno a legna.
Ma c'è,
anche, l'arroganza dell'egoismo. La totale mancanza di rispetto per un valore
che travalicava, dobbiamo dirlo al passato, i milioni di euro. Bruciare quei
quadri è stato un atto di inciviltà,
di quelli che appartengono da sempre al genere umano insieme a irraggiungibili
slanci di estasi artistica. Nei millenni che compongono la nostra storia è
successo tante volte. E ogni volta ci siamo dovuti specchiare nel volto di chi,
per amor di conquista, per barbarie o per salvare un figlio incapace, ci ha
mostrato quanto sia fragile l'immortalità
della mente. L'unica che ci sia concessa.
Laura
Costantini
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