A gennaio
scorso un fiume ha sfondato l'argine, indebolito, tra le altre cose, ha un
intero agrumeto abusivo inserito nel suo alveo. E ha sepolto sotto migliaia di
metri cubi di fango un sito archeologico che qualunque altro paese europeo
avrebbe protetto come un gioiello prezioso. Sibari. Oggi quel fango, ormai
secco e polveroso, è ancora lì.
Non ci sono i soldi per rimuoverlo. Quasi tre anni fa c'è
stato un crollo in un altro sito archeologico, patrimonio dell'umanità
ma lasciato all'incuria nostrana. Pompei. Pochi giorni fa era previsto uno
spettacolo di beneficenza, una raccolta fondi per mettere in sicurezza almeno
una piccola parte di quel tesoro. Ma la vergogna si è
consumata fino in fondo: i biglietti omaggio per autorità,
amici e parenti hanno lasciato senza una sedia coloro che avevano pagato.
Spettacolo sospeso. Soldi restituiti. Sabato scorso una gigantesca nave da
crociera, alta come un palazzo di venti piani, lunga più
di un campo di calcio, ha sfiorato la città
più
preziosa, originale e bella del mondo. Venezia. Uno scrittore ha immortalato
quel passaggio impressionante, quel gigante che rischia di investire Riva Sette
Martiri, a pochi passi da piazza da San Marco. Lui parla di venti metri. La
compagnia armatrice allunga a 72. Pochi, pochissimi, in ogni caso. E ancora.
Una manifestazione politica, sul palco un ministro della repubblica. Qualcuno
tra la folla lancia banane, perché
il ministro si chiama Cecile Kyenge, è
nera, si occupa di integrazione e, secondo il vicepresidente del senato, assomiglia
a un orango. Quattro eventi slegati tra loro, avvenuti in tempi e modi diversi,
a volte lontani. Eppure uniti da un elemento che non possiamo e non dobbiamo
permetterci di ignorare: ci stiamo imbarbarendo. Giorno dopo giorno, senza
soluzione di continuità, perdiamo
di vista cosa conta veramente. Giovanni Papasso, coraggioso sindaco di Cassano
allo Jonio, amministratore del sito archeologico di Sibari, accompagna chiunque
lo chieda a prendere visione della tomba di fango che ha inghiottito Sibari e
la sua storia millenaria. Ha bisogno di cinque milioni di euro, dispera di
poterli ottenere ma non inveisce contro lo stato. L'agrumeto abusivo che
ostacola il corso del Crati non arriva da Roma, ma dall'illegalità
diffusa. Dalla mancanza di rispetto. La stessa che ha spinto Alessandro Siani a
sospendere lo spettacolo a Pompei, a restituire i soldi ai pochi che avevano
pagato per vederlo e a offrire di tasca propria una somma. Con la vergogna nel
cuore per tutti coloro che hanno lucrato su cariche e parentele pur di vederlo
gratis. Senza vergogna, invece, l'armatore della gigantesca nave davanti a
Venezia, che ne annunciava il passaggio su twitter. Pubblicità
a buon mercato. Visibilità, come
quella che cercavano gli anonimi vigliacchi lanciatori di banane contro Cecile
Kyenge. Se questo paese non fosse ormai dimentico di se stesso, qualcuno li
avrebbe visti. Fermati. Derisi. Anche picchiati, perché
uno schiaffo ci serve. Uno schiaffo paterno, prima che sia troppo tardi.
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