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martedì 27 febbraio 2018
#ilmioincubopeggiore I diamanti di Sergio
Sergio e Franco erano cresciuti insieme, prima nelle baracche della Magliana, poi, all’inizio degli anni 70, una casa popolare a Via di Donna Olimpia, a Monteverde Nuovo. Finalmente un tetto sulla testa e un letto vero in cui dormire. La loro vita era trascorsa tra furtarelli, un po’ di riformatorio e carcere. Tutte cose di poco conto, per lo più condonate da giudici comprensivi.
Ma quel pomeriggio era diverso. Sergio passò a prendere Franco e, come sempre accadeva prima di ogni colpo discutevano animatamente seduti nel cortile del palazzo.
«Insomma, a Se’, chi te l’avrebbe data sta grande dritta?». Disse Franco con aria di supponenza.
«Danilo lo zoppo».
«Seee, lallero. Ma quello s’è bruciato er cervello co ‘n overdose vent’anni fa».
«A Fra’. Guarda che Danilo c’avrà pure er cervello bruciato, ma mica è cojone. Stamme a senti’. Dovemo apri’ l’ultimo tombino de Via de Donna Olimpia, quello davanti a Villa Pamphili. Poi se famo cento metri de fogne e semo arrivati».
«Ma arrivati ‘n dove, Se’?».
«Là sotto ce sta ‘na specie de camera, piena zeppa de diamanti che ha ammucchiato lì un vecchio che ora è morto e nessuno sa che esistono. A Fra’ so’ cento mijoni de euri». E dicendo questo, Sergio enfatizzò la frase allungando a dismisura la “i” e mettendo la mano di taglio accanto alla bocca.
«Me pare tutto così assurdo, ‘na gran cazzata». Disse Franco grattandosi la pelata. Ma dentro di sé si stava convincendo. Sergio ci riusciva sempre, anche quando sapeva che sarebbero andati “bevuti”, con la coda tra le gambe, al Commissariato di Via Cavallotti.
«Daje, se beccamo stanotte alle tre».
Verso l’ora stabilita si avviarono a piedi verso l’entrata di Villa Pamphili. Pioveva, faceva freddo e i due camminavano con le mani nelle tasche di due giubbotti inadeguati alla stagione.
Ad una cinquantina di metri dal cancello ecco il tombino che avrebbe cambiato le loro vite. Isole Cayman, bella vita. Gli ultimi anni passati tra le comodità dei ricchi veri. Quelli che non chiedono quanto costa.
Sergio estrasse da sotto il giubbotto un piede di porco col quale sollevò il tombino, si calarono per un paio di metri e lo richiusero sulle loro teste. Alla luce della torcia si incamminarono nello stretto cunicolo che finiva con una grata, che cedette dopo qualche scossone e una dose industriale di bestemmie corali. Dopo un centinaio di metri, la luce della torcia iniziò a riflettere un bagliore strano. I cuori gli battevano all’impazzata.
Ed erano lì. Diamanti grossi come pugni, splendenti come tutta la luce del mondo. «Ma allora era vero». Disse Franco con un filo di voce. «Hai capito sto matto de Danilo. Ma come cazzo l’avrà saputo?».
«Gliel’ho detto io» disse una voce alle loro spalle.
Sergio portò la mano alla pistola che teneva dietro, infilata nella cintola. La estrasse e mise il colpo in canna.
«E tu chi cazzo saresti?».
«Sono Artemio, il custode del Tesoro di Dio. Sono un angelo, non un mortale, quindi la tua pistola non avrebbe alcun effetto su di me.». Era alto, leggermente effemminato, con indosso un improbabile frac bianco e una vistosa cravatta celeste. La sua voce sembrava provenire dal centro della piccola grotta, non dalla sua persona. E a Franco sembrò che nemmeno muovesse le labbra.
«Vabbè, mo se semo presentati. O ce dici che cazzo voi, o te ne poi pure anna’ a fanculo» disse Sergio che cercava di mantenere un atteggiamento aggressivo. La pistola era sempre puntata sul viso di Artemio che, però, non se ne curava più di tanto.
«Voglio il vostro cuore, così come ho preso il cuore di tanti altri prima di voi. E li potete vedere, sono tutti qui, trasformati nei diamanti che avete davanti agli occhi»
Nel dire queste parole, allungò una mano verso il petto di Sergio. Non morì subito. Ebbe il tempo di vedere il suo cuore esplodere di luce e trasformarsi in una di quelle pietre. Artemio lo depositò con cura insieme agli altri, mentre lo zombie Sergio abbassava gli occhi verso il petto sanguinante. Questa vista allentò i suoi sfinteri e se la fece sotto. Franco vomitò tutti i pasti saltati della sua vita prima di accasciarsi svenuto.
Sergio sentiva la vita andare via, ma ancora non riusciva a morire e se ne stava lì con i suoi pantaloni fradici di pioggia, feci e urina.
Artemio ripeté la pratica anche su Franco ed un altro bagliore squarciò la piccola grotta. Entrambi lasciarono la vita insieme, senza la gloria che avevano toccato solo per pochi secondi.
A quel punto risuonò una seconda voce.
«A che punto siamo con la raccolta?»
«Con questi due abbiamo finito. Certo è stata lunga, c’è voluto tanto tempo. Ma per Te il tempo non ha senso, vero? Con tutto quello che abbiamo raccolto Ti puoi ritirare a vita privata qui sulla terra e fare davvero il Signore. A proposito. Due cose: Danilo lo zoppo ha finito il suo lavoro e vorrebbe tornare su. E poi, se non sbaglio, mi avevi promesso che passavi tutto a me. O ricordo male?».
«Sia fatto come vuoi Tu. Ormai sono in pensione»
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