C'è un parallelo tra l'archeologia eroica e quasi mitica dell'epoca
regency e il vagolare del lettore nel mare magno della produzione self. E
questo parallelo mi conduce esattamente dove mi trovo: ho scoperto una gemma.
Per puro caso. Una cover su un gruppo, io che non compro mai un libro per la
copertina. Un'occhiata alla trama. La curiosità. Ho preso l'ebook e l'ho
lasciato lì, in mezzo a mille altri. Non amo il romance, chi mi conosce lo sa.
Lo uso, alle volte, come lettura leggera e disimpegnata tra un romanzo e
l'altro. Ma questo non è un romance. È una biografia romanzata. È un romanzo
storico. È un romanzo d'avventura. È un viaggio emozionante. È qualcosa di
totalmente inatteso, scritto in modo superbo. L'autrice ha saputo fondere in
modo meraviglioso e indistinguibile fantasia e storia, romanticismo e
avventura. Di più, ha fatto un lavoro di scavo nella psicologia di una giovane
donna di un'epoca lontana, costretta a rinnegare la propria personalità in nome
di un appiattimento alla conformità, spacciato per etichetta, per educazione, per
contegno. E ci ha mostrato il risveglio di Sarah, pagina dopo pagina, mentre
Giovanni Battista, il suo grosso, esuberante, dolcissimo marito riusciva a
estrarla da se stessa non diversamente da come avrebbe fatto con un prezioso e
delicato reperto dell'antico Egitto. Un libro bellissimo, una lettura preziosa.
Straconsingliato.
Come sei venuta in contatto con la storia dei coniugi Belzoni?
A gennaio 2018 ho pubblicato
(rigorosamente in self) un romance regency coloniale, ambientato a Ceylon e
l’esperienza, per me nuovissima, di scrivere un romance, mi era molto piaciuta.
Anche i riscontri erano stati alquanto positivi. Così, in primavera, avevo in
mente di scrivere un altro romance regency in ambientazione “esotica”.
Poiché amo moltissimo l’Egitto e
l’ho visitato più volte, era uno dei miei candidati. Sono partita dal provare a
documentarmi su cosa fosse successo in Egitto di interessante nei primi
vent’anni dell’ottocento e lì la figura di Belzoni è emersa con prepotenza, per
la mole e l’importanza delle sue scoperte. Quando poi ho scoperto che era
l’emissario del console inglese e inglese era la sua giovanissima moglie, ho
pensato che per un’avventura romantica esotica fosse perfetto.
Confesso che ho esitato a lungo,
perché temevo molto di “tradire” i personaggi storici piegando la sua biografia
alle esigenze di trama. Poi ha preso il sopravvento il fascino esuberante di
Belzoni e il desiderio di farlo conoscere, di divulgarne le meravigliose
esperienze di vita, seppure in forma romanzata, facendo magari sorgere nel
lettore i desiderio di approfondire.
Un lavoro di documentazione certosino, quanto tempo e impegno ti è
costato?
Il mondo della reggenza inglese è
una mia grande passione e lo conosco abbastanza bene, quindi lì la
documentazione non è stata onerosa. Giovanni Belzoni, invece, l’ho conosciuto
da un paio di biografie e dalla lettura diretta dei suoi diari di viaggio, che
sono stati il principale testo di riferimento per il romanzo.
La parte di pura documentazione è
durata un paio di mesi, più altri tre in parallelo con la stesura del romanzo.
Un romanzo così bello avrebbe dovuto trovare spazio in una grande CE,
ci hai provato?
Domanda che contiene un grande
complimento: grazie <3
No, non ci ho provato.
Sinceramente mi considero, e sono, una dilettante. Ho avuto in passato
un’esperienza con una casa editrice di medie dimensioni, che non ho saputo
gestire correttamente e che mi ha un po’ sfiduciato. Scrivo perché mi diverte farlo,
mi emoziona e mi appassiona.
Non mi sento all’altezza di una
grande CE e penso che per la letteratura “di genere” (rosa, giallo e in minor
misura fantasy) il self-publishing possa dare belle soddisfazioni, a patto di
prendere tutto con leggerezza, come un gioco.
L'epoca regency non mi è affatto simpatica, soprattutto per
l'esasperante stereotipia che affligge le protagoniste. Tu hai saputo creare
una donna vera che si dibatte nelle pastoie di un'educazione francamente
assurda, e le spezza. Non avendo letto altri tuoi titoli, chiedo: sono tutte
così le donne che descrivi?
Una delle mie fissazioni come
lettrice (e di riflesso come autrice) di storici è la credibilità dei
personaggi rispetto all’epoca. Del loro modo di agire, di parlare e,
soprattutto, di pensare. Credo sia la parte migliore, e certo non la più
semplice, di un buon romanzo storico.
Le donne che descrivo sono tutte
donne del loro tempo; quindi, in generale, nei romanzi ottocenteschi sia
regency che vittoriani, alle prese con educazioni oppressive, gravide di
ipocrisia e discriminazione, spesso anche terribilmente ignoranti. In base ai
loro caratteri e alle loro esperienze di vita reagiscono poi diversamente a
queste pastoie e se ne liberano, o imparano a conviverci.
Ad esempio la protagonista de La
Gemma di Ceylon, che menzionavo prima, rispetto a Sarah Belzoni è più adulta
(ventiquattro anni contro diciotto scarsi), meno attraente, con minori
ambizioni sociali e un carattere completamente differente. Il suo modo di affrontare
le regole del mondo e stare a galla è differente. Ma, io spero, ugualmente
credibile.
Discorso diverso per i personaggi
vittoriani de La Saga della Sposa, che sono numerosissimi e in una saga
epistolare, per cui hanno la possibilità di esprimersi in prima persona,
svelandosi intimamente molto più di quanto non sia possibile con la forma
narrativa canonica e, inoltre, cavalcando l’onda dei grandi cambiamenti della
seconda metà del diciannovesimo secolo.
Mi sono dilungata, ma sì, la
credibilità prima di tutto, rispetto al carattere del personaggio, ai suoi
trascorsi e all’epoca storica.
Scrivi romance, da quel che vedo, e sono certa che la tua scrittura sia
sempre a livelli alti, perché la classe non è acqua. Ma il genere non ti sta
stretto?
In realtà mi piace cambiare.
Sono approdata ai romance
all’inizio del 2018 e mi sono divertita moltissimo, quindi penso che proseguirò
l’esperienza.
Prima dei romance avevo
pubblicato un breve romanzo epistolare dedicato a una versione cronologicamente
plausibile con la documentazione storiografica (ma ovviamente inventata) del
rapporto fra Jane Austen e Tom Lefroy, che, se non altro per il finale, non
saprei quanto si possa definire romance.
Prima ancora un romanzo di guerra
ambientato negli anni ‘90, con uno pseudonimo che mai rivelerò, neanche sotto
tortura :P
Poi c’è la saga vittoriana,
grandiosa esperienza di scrittura a quattro mani, che ha molto di romantico, ma
non so se possa essere facilmente definita romance. Forse sì, ma un romance decisamente
atipico.
Attualmente ho anche un inedito
in cerca di editore, ambientato fra il 1944 e il 1945 durante la guerra
partigiana. Romanticismo quasi zero. In questo caso, per un romanzo così poco
inquadrabile nella letteratura di genere, sono convinta che il self-publishing
non sia lo strumento buono per arrivare al target di pubblico giusto. Quindi,
incrocio le dita e spero che qualcuna delle CE che ho contattato voglia
rispondermi.
Prossimamente ho una mezza idea
di cimentarmi, non so bene con quali esiti, nel giallo storico, genere che non
ho mai sperimentato ma che mi attrae molto. Vediamo che ne viene fuori.
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