venerdì 15 giugno 2012

Soggettiva di ZG: Il giovane Holden di J.D. Salinger

Ordunque sia chiaro, se siete fautori della sacralità di opere letterarie assurte nell'empireo della storia della letteratura mondiale, non leggete oltre. Perché non siamo qui per tessere le lodi del giovane Holden Caulfield o come Vattelappesca si chiama. Quando ho visto questa famosissima copertina candida e spoglia mi sono detta: questo romanzo mi darà del filo da torcere. Lo si capisce da tutto 'sto bianco, dallo snobismo evidente nella scelta di non scegliere una qualsiasi vera copertina e tutto quel che segue. Poi l'ho aperto e ho cominciato a leggere, non prima di aver riflettuto sulla lunga nota dell'Editore circa l'impossibilità di tradurre il titolo originale Catcher in the rye (che suona più o meno uno che acchiappa nella segale e tutto quanto). Ora, se il titolo di un romanzo non lo si riesce a tradurre, capisci bene che il romanzo stesso deve avere delle, come dire, asperità. La scoperta è conseguenziale: c'è questo fanciullo che, causa trasposizioni cinematografiche (che non ho visto), immaginiamo belloccio. Il fanciullo ha sedici anni e la capoccia confusa che di solito attiene ai sedicenni. Non gli va di andare a scuola, non perché non sia bravo, anzi. A lui quello che proprio non gli va giù è l'assurda pretesa degli insegnanti di incanalarlo su un binario preciso. Per lui divagare o meglio, saltare di palo in frasca, è quanto di meglio ci sia per tenere allenata la mente. Guai a gridargli "fuori tema", come avviene durante le esercitazioni di esposizione orale nella sua scuola. Quindi, visto che ha anche un decreto di espulsione che gli incombe sulla testa e tutto quel che segue, decide di togliere il disturbo imbarcandosi in un viaggio notturno dalla scuola a New York che si trasforma in una specie di calvario a suon di sbronze e pacchetti di sigarette e decisioni di telefonare alla vecchia June, alla vecchia Sally, alla vecchia Phoebe. Di tutte queste nessuna è vecchia, garantito al limone. Anzi, due sono coetanee, la terza è la sua sorellina che lo adora. Va da sé che ogni volta che decide, il vecchio Holden ci ripensa e intanto intesse incontri con due ragazze di provincia a caccia di divi in un night malfamato, con un ragazzo dell'ascensore/pappone che gli procura una prostituta con la quale non ha il coraggio di perdere la verginità, con un vecchio e stimato professore che, per avergli fatto una carezza sulla testa, viene bollato come pederasta. E questa è la storia e non crediate che, per dirla con il nostro amico Holden, stiami prendendo in giro. Certo, c'è anche il rimpianto per Allie, il fratello perso in giovanissima età e la domanda delle domande che il fratello maggiore D.B. (scrittore e sceneggiatore) in partenza per la guerra porge proprio ad Allie: chi ha scritto le migliori poesie di guerra, Rupert Brooke (che la guerra l'ha fatta) o Emily Dickinson (che, donna, l'ha solo vissuta attraverso la sofferenza degli altri)? Allie risponde senza esitare: Emily Dickinson. Le pagine belle non mancano, non possono mancare. Ma è evidente che questo libro, compreso in qualsiasi classifica tra quelli che NON puoi non aver letto, è stato una vera bomba quando è uscito, nel 1961. Per novità di linguaggio, per novità di trama, per aver descritto quello che probabilmente nessuno aveva mai creduto degno di passare su carta, ovvero il continuo interrogarsi e divagare di una mente adolescente. Ma oggi tutto questo è acquisito e quel che resta è una scrittura che, personalmente, ho trovato ostica. Soprattutto per quel gergo che di rivoluzionario non ha più nulla. Garantito al limone, appunto.

ZG

6 commenti:

  1. La critica più seria che in questo articolo muovi al romanzo è quella della lingua; solo che, come capisci da sola, quello che trovi ostico e ammuffito non è l'americano di Salinger, ma l'italiano della sua traduttrice.

    Insomma: come dicono i giuristi, «l'argomento non ha pregio».

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    1. H il massimo rispetto per il lavoro dei traduttori e so per certo che Adriana Motti, traduttrice di Salinger per Einaudi, è stata considerata una fuoriclasse assoluta. Le difficoltà di questo testo sono lampanti e lei ha dovuto inventare un gergo di sana pianta. Quel che è certo è che l'americano di Salinger, risalendo alla fine degli anni '50, sarà ostico e ammuffito esattamente come la traduzione in italiano. Bisogna prendere atto che i classici non sono intoccabili e, ahinoi, diventano datati esattamente come tutto il resto.

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  2. Ah, e buon Bloomsday.

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  3. Quel che è certo è che l'americano di Salinger, risalendo alla fine degli anni '50, sarà ostico e ammuffito

    Quel possibilista «sarà», in contraddizione flagrante con la certezza che professi, dichiara che non conosci il romanzo nell'originale.

    Non mi sembra gravissimo, ma in questo caso, per brava che sia stata la Motti, criticare Salinger per la lingua, insisto, non ha proprio senso. E lo dico io, che questo romanzo manco mi piace.

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  4. Ah, e comunque è del 1951, non del '61.

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  5. Uno o due anni fa ne è uscita una traduzione nuova, ma non l'ho vista.

    L'italiano della Motti ha messo la muffa, l'inglese di Salinger, guarda, nemmeno un po'; concordo con Alemacazz, qui hai un po' parlato a vanvera.

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