sabato 9 marzo 2019

Ira - Vizi e Virtù - scrittrice allo sbaraglio: Annemarie De Carlo






Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è l'ira. Cosa dici?

Il vizio che mi è capitato in sorte è l’Ira e agli autoctoni - posto che comprendano la mia lingua - direi così:

“L’ira è un’esplosione irrazionale, una deflagrazione che ti offusca la mente e che ti sposta in avanti, che ti fa scagliare con violenza contro qualcosa o qualcuno e che devasta come un fungo atomico; paralizza il raziocinio, libera gli istinti più beceri che albergano in tutti gli esseri viventi. Qualcosa di estremamente deleterio che va esorcizzato ed evitato senza se e senza ma.”

Io odio l’Ira con tutta me stessa. Curioso che mi sia capitato proprio questo vizio.


Nella vita hai provato il vizio di cui stiamo parlando: raccontaci.

Intesa come reazione rabbiosa e violenta a un contrasto: sì l’ho subita e pure spesso. E per quanto io possa arrabbiarmi, difficilmente mi lascio prendere da quella reazione irrazionale. Per esercitare l’ira bisogna avere “inscatolato” o “imbottigliato” tanta, tantissima energia negativa e poi, successivamente agitata come una bottiglia di bevanda gassata, esploda senza poterla trattenere o far prima scemare. In genere, non arrivo mai a quel punto. E se imbottiglio, poi, la rabbia implode dentro di me, deflagrando all’interno, nell’animo e facendo danni soprattutto a me stessa.

Intesa come indignazione, frustrazione: sì, come tutti spesso provo rabbia per le ingiustizie, per l’inciviltà che pare dilagare in questo mondo così strano e che a volte difficilmente riconosco. Come tanti, vorrei poterla esprimere, ma sempre in modo pacato e civile.

Intesa come rabbia generata dall’invidia e dall’odio: questi ultimi sono sentimenti che detesto, che evito anche solo di considerare, che faccio di tutto per non permettere di catturarmi. Disprezzo la violenza verbale forse ancor più di quella fisica e pertanto non mi incanta un certo “black humor” che sembra andare di moda oggigiorno e giustificare tanto odio e violenza verbale sui social e anche nella vita quotidiana.

Consiglia un romanzo che parla del vizio in questione e spiegaci la scelta.

Come Annemarie De Carlo scrivo Lgbt/MM, e soprattutto leggo principalmente Lgbt/MM. Per scelta, per interesse specifico e sostegno/supporto - essendo io etero - verso il mondo omosessuale e di identità di genere. Moltissimi romanzi Lgbt, ma soprattutto i “gay-romance” altrimenti detti MM/Male-to-Male o FF/Female-to-Female e che trattano storie d’amore di persone che amano altre persone dello stesso sesso (o transgender, asessuali e bigsex) contengono al loro interno storie di bullismo, violenza fisica e verbale, odio e insofferenza verso le persone che amano persone dello stesso sesso. Questi romanzi hanno regole precise, trattandosi di “Romance” devono per forza avere un lieto fine, ma alcuni di essi sono dei veri e propri gioielli di narrativa e stile. E tra le centinaia di romanzi che ho letto di questo genere, vorrei sceglierne uno, singolare e devastante per l’ambientazione in esso descritta:

Nascosti dal mondo, di John Kihley, edizioni Triskell: un romanzo che parla di un amore struggente tra un pianista e un violinista, nato alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e che perdura anche durante la loro deportazione da parte dei nazisti in un campo di concentramento; i due protagonisti saranno così marchiati dai cosiddetti “triangoli rosa” il simbolo di stoffa cucito sulle divise dei deportati nei campi di concentramento e che corrispondeva, appunto, al crimine di omosessualità. L’odio dei nazisti, l’ira rabbiosa di uomini che si sentivano al di sopra di altri loro simili, mossi da una ferocia inumana nei confronti della diversità, pur martoriando il corpo degli amanti non scalfisce il legame, considerato abominio dalla società di allora, che li unirà fino alla fine.


Facci leggere un tuo brano attinente.

Qualcosa dal romanzo “corale” che sto scrivendo, fresco fresco e non revisionato.
(Perciò siate clementi, vi prego) Esempio di “uno scagliarsi contro rabbioso”:

“Agata! Dove sono le mie calze?” urlò dal bagno Ascanio. Era troppo concentrata nel truccarsi  per sentirlo. La cosa spazientì l’uomo che continuò a urlare “AGATA!”
Senza spostarsi dallo specchio, impegnatissima a passarsi una riga di Kajal nell’occhio destro, Agata rispose ad alta voce:
“Che c’è?”
“Dove cazzo hai messo le mie cazzo di calze?”
“Nella valigia!” sempre dallo specchio, sempre continuando a truccarsi.
“E, per Dio, dove cazzo è la fottuta valigia?”
“Agata, sta dando di matto.” Le si avvicinò Ignazio, guardandola con espressione mogia attraverso lo specchio. “Già stiamo facendo un casino tremendo. Se quello continua ci sbattono fuori.” La supplicò di occuparsi di quelle benedette calze. Agata posò sospirando la matita di Kajal sulla mensolina sotto lo specchio, si alzò dalla sedia per andare a rispondere ad Ascanio. Non fece a tempo a muoversi. Si sentì strattonare dalla cintura della tuta che aveva legato in vita, trascinare fuori dalla stanza mentre un Ascanio furibondo la riempiva di insulti. E poi si sentì spingere con forza verso la parte opposta del corridoio. Non riuscì a mantenersi in equilibrio. Caracollò all’indietro e sentì il muro colpirla forte alla schiena. Sbatté la testa e per un istante non vide e non sentì nulla; quando si riebbe dallo stordimento e dalla botta, vide il volto rosso fuoco di Ascanio a pochi millimetri dal suo naso.
“Se non trovi subito quelle fottutissime calze, ti massacro, per Dio!” gli urlò lui con una cattiveria così spaventosa nella voce da farla subito alzare come un soldatino di fronte al suo comandante. Ancora confusa, Agata chiuse le orecchie a quell’urlare costante e si diresse verso la camera. Attraversò quel corridoio come su una passerella, camminando quasi in punta di piedi, notando come gli altri del gruppo si fossero affacciati dalle camere e la osservassero senza però dire nulla, muti e attoniti ma senza un gesto per fermare quell’uomo che seguendola continuava a inveire. Entrando in camera Agata si chinò sotto il letto di Ascanio ed estrasse la valigia incriminata. La aprì, ne estrasse le calze tanto agognate, le appallottolò e gliele tirò in faccia, gridando a sua volta:
“Ecco le tue stronzissime calze, pezzo di merda!”
Non lo sentì arrivare. Non vide neppure la mano sollevarsi e abbassarsi. Capì che era stata colpita solo un attimo dopo, quando la pelle sulla guancia iniziò a bruciare. Riuscì solo ad aprire la bocca in segno di stupore e a spalancare gli occhi, uno truccato e uno ancora no, e ringraziò il cielo che ancora non lo fosse perché le lacrime bruciano se a contatto col mascara e il kajal. Che colasse il trucco sporcandole le guance non gliene fregava nulla. Ma il non riuscire a vedere nient’altro che rosso per un secondo la fece tremare. Sentì dentro gonfiarsi una rabbia sorda, acuta, brutale. Una voglia di far male. Parte di quella rabbia era rivolta alle persone in quella stanza. Avevano visto tutto ma non avevano mosso un dito, detto una sola parola. Cristina e Ignazio avevano continuato a parlarsi e a vestirsi come se nulla fosse successo.
“Non permetterti mai più di mancarmi di rispetto, troia!” sibilò rauco Ascanio. E Agata si trovò nella posizione di dover scegliere: avventarsi contro il marito, provare a restituirgli un po’ di quegli insulti, parte di quelle percosse rischiando ancor più violente reazioni da parte sua. Oppure... Capì di essere sola. Tremendamente sola in mezzo a quelle persone. Inerme, indifesa. Quindi fece l’unica cosa che in quel momento le riuscì chiaro di poter fare: scappò di lì in mezzo alla folla colorata e festante di una Venezia ubriaca di Carnevale.

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincera.

Lo ammetto, anche se non sembra, sono “una brava ragazza-inside”, perciò direi “esercitare la virtù” anche se ripeto costantemente che, se dovessi tornare a nascere, non mi farei scappare più neppure il più piccolo vizio. Però il vizio dell’Ira, no grazie. Passo. Si può?

Inventa un titolo accattivante che contenga il vizio che ti è toccato.

Ho intitolato il mio romanzo “corale” “Cuore d’ortica”... non rende l’idea della ferocia e della furia ma lascia comprendere il dolore e l’amarezza per una violenza subita. Credo.


Pubblicizza una tua creatura

Lois e Luke - giro di vite - Edizioni goWare

Quando è in vena di farsi un po’ male, cosa che fortunatamente non accade spesso, Lois fa un gioco: chiude gli occhi e spinge i ricordi all'indietro nella mente fino a cercare quei frammenti di memoria che affiorano incerti tra la nebbia dei pensieri sparsi e che tiene rigorosamente in disordine dentro di sé; i ricordi più cari e più importanti, invece, li conserva ben piegati proprio davanti agli occhi, per rispolverarli più spesso e sono due: il sorriso di sua madre mentre lo abbraccia dopo aver ballato e aver ottenuto dal pubblico un giro di applausi particolarmente caloroso, e la risata, sua e di Luke, in pizzeria dopo lo spettacolo, una sera di fine Marzo.
Erano allegri, un po’ sbronzi e arrapati. Si erano già scambiati un bacio lascivo che nulla lasciava all'interpretazione su come sarebbe terminata la serata, e Luke aveva buttato lì un commento particolarmente divertente, a cui Lois aveva risposto ridendo di gusto. Si erano di nuovo incontrati, labbra su labbra, e proprio in quell'istante Lois aveva estratto il cellulare e aveva scattato un selfie.
La foto di quel bacio, di quelle due bocche unite, è adesso lo sfondo del suo cellulare. 
È l’unica cosa che gli è rimasta di Luke.



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