Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni la speranza. Cosa dici?
Avanzo sollevando la mano sperando
che comprendano il gesto di saluto, non sorrido perché temo che mostrare i
denti possa sembrare un gesto aggressivo. Mi schiarisco la voce e provo a
parlare.
«Vengo in pace e senza presunzione,
sperando di trovare in voi ciò che io vorrei trovaste in me. Da dove vengo io
la chiamiamo speranza, è una virtù intangibile che si basa sul niente ma che ha
sostenuto la nostra razza per tutta la sua esistenza. È il desiderio di
ottenere qualcosa che non si può avere, come trovare l’acqua nel deserto o un
amico tra le fila nemiche, è la necessità di poterci appellare a un potere che
va oltre la comprensione per riuscire risolvere i nostri problemi. È il sogno
di trovare in voi la voglia di essere miei fratelli nonostante la paura e le
nostre diversità, è l’illusione che possiate comprendere quello che vi sto
dicendo.
Nella
vita hai esercitato la virtù di cui stiamo parlando:
raccontaci.
Anche volendo non potrei mentire, non
credo che esista qualcuno che almeno una volta nella vita non si sia appellato
alla speranza. Ho pensato a lungo a cosa scrivere, non mi andava di inventare
una storia e nemmeno di raccontare qualcosa di troppo triste, purtroppo la
speranza è una virtù che emerge nei momenti di difficoltà e raramente si può
accostare a momenti felici. Partendo da questo punto fermo un solo pensiero mi
è venuto in mente, un momento in cui la mia vita ha perso il suo valore per
essere votata a qualcosa di più grande, l’attimo in cui ho preso in braccio mio
figlio.
Più di trenta ore di sofferenza
prima di venire al mondo, urla e fatica che ho vissuto assieme a mia moglie
come se fossero mie. Quando è nato la tensione mi ha fatto piegare le gambe
mentre mi piegavo in un pianto liberatorio.
«Se deve svenire vada fuori» mi
aveva detto l’ostetrica indicando la porta della sala parto. «Non abbiamo il
tempo di scavalcarla mentre ci occupiamo di sua moglie.»
Respirando a fatica ho alzato la
testa e ho visto il mio piccolo arrivare verso di me, lo avevano lavato e me lo
stavano portando ma io vedevo solo il fagottino fluttuare tra le mie braccia.
Piccolo, con gli occhi chiusi e il visino stanco di chi ha già combattuto la
sua prima battaglia, ha allungato una manina e mi ha afferrato il mignolo
mentre lo tenevo in braccio incapace di muovermi.
«Ciao amore» gli ho sussurrato
piano. «Benvenuto Alessandro Leonida» ho aggiunto riversando in quelle parole
tutta la speranza che avevo infuso nel suo nome.
So che può sembrare assurdo ma
credo profondamente nel nomen omen, ho
scelto volutamente quei nomi per donargli ciò che ai miei occhi li
rappresentava. Non mi interessavano le imprese dei due re e nemmeno la loro
storia sfociata nel mito.
Alessandro Magno, aldilà della
leggenda della sua vita, ha attraversato i confini del mondo assieme ai suoi
amici d’infanzia. Sono rimasti uniti per tutta la vita e hanno condiviso ogni
attimo legati da un sentimento che spesso diamo per scontato.
Leonida è stato un uomo capace di
sfidare l’impossibile per dare al suo popolo una speranza di salvezza, ha
scelto di fare la cosa giusta anche se gli sarebbe costata cara.
Erano questi i sentimenti che
volevo infondere in mio figlio mentre gli sussurravo il suo nome, la speranza e
l’augurio di poter trovare degli amici veri e di avere il coraggio di fare le
scelte più difficili per difendere i suoi ideali.
Consiglia
un romanzo che parla di speranza e spiegaci la scelta.
Leggendo la domanda me ne sono
venuti in mente diversi ma, per puro gusto personale, vorrei consigliare Il
grande sole di Hiroshima. Un romanzo triste, toccante e al contempo profondo
nella semplicità con cui due fratelli, Shigeo e Sadako Sasaki, affrontano le
conseguenze della follia umana. Morte, dolore e sofferenza sono alla base di
tutto il racconto ma in ogni pagina c’è un velo di triste speranza, quasi una
preghiera a qualunque dio in ascolto. I bambini pagheranno per quello a cui
sono sopravvissuti, non ci sono dubbi sugli effetti che la bomba atomica ha
avuto su di loro, c’è solo la speranza che possano farlo restando bambini,
sorridendo a una vita che li ha condannati troppo giovani. Non perdendo
l’innocenza che li rende puri anche davanti alla morte.
Facci
leggere un tuo brano attinente.
July si mosse d’istinto, prendendo
dolcemente la mano dell’uomo tra le sue per cercare di trasmettergli la sua
vicinanza, per dimostrargli che non era più solo. Avrebbe voluto fare di più
per fargli capire quanto gli volesse bene, e quanto soffrisse per lui, ma non
osava superare il confine emotivo che li divideva. Riusciva a vedere oltre la
maschera di freddo distacco con cui si nascondeva al mondo, sapeva quanto
dolore c’era nascosto nel cuore dell’uomo che amava.
«Non perdere la speranza» gli
sussurrò, baciandolo dolcemente sulla guancia, senza ottenere la minima
reazione da parte sua. Sapeva di non poter fare molto, lo aveva osservato per
settimane arrivando a conoscere quei suoi cambi d’espressione che lui cercava
inutilmente di nascondere, e il mutismo con cui sottolineava i suoi disagi.
Tutto quello che poteva fare era limitarsi a stargli vicino nella speranza che
prima poi qualcosa lo spingesse ad aprirsi.
«Forse quando arriveremo sulla
Terra troveremo il modo di vivere in pace. Senza più battaglie, senza dolore e
senza sentirci come animali braccati» li incoraggiò July ad alta voce,
stringendo con più forza la mano di Nicolas.
«Piacerebbe anche a me, ma non mi
illudo» le fece eco Peter, che era rimasto in silenzio a osservarli.
Meglio
sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincero.
Citando Mark Twain “Dying man
couldn't make up his mind which place to go to. Both have their advantages,
heaven for climate, hell for company!” Non è difficile comprendere
il significato di questa famosa frase che molti attribuiscono erroneamente a
Wild. Sperimentare i vizi è divertente, appagante ed estremamente semplice. Io
per primo cado quotidianamente in tentazione e so bene quanto sia facile lasciarsi
trasportare dai vizi, avventurandosi in una strada in discesa ca cui è
difficile tornare indietro. Ammiro chi riesce serenamente a esercitare le virtù,
a chi le vive quotidianamente senza obblighi morali o religiosi, se ogni essere
umano si votasse a una virtù forse vivremmo in un posto migliore, ma ciò non
toglie che piace a tutti tuffarsi nell’estasi del proprio vizio preferito.
Inventa
un titolo accattivante che contenga il vizio/virtù che ti è toccato.
Il gatto che giocava con i petali
della speranza
Pubblicizza
una tua creatura (link acquisto, cover, due righe per invogliarci)
Il libro è disponibile in tutti gli
store digitali e ordinabile in qualunque libreria.
Skin è il secondo romanzo dedicato
ai Figli del Newman, segue le vicende di Winter e non posso raccontare molto
della storia per non creare spoiler non voluti. Posso raccontarvi il contesto.
In un futuro non troppo lontano
l’umanità si sta riprendendo dalla Guerra di indipendentismo coloniale. La
Terra è distrutta, Marte e la Luna stanno cercando di riprendersi e le colonie
orbitali sono sovrappopolate. Il conflitto è finito ma le conseguenze dell’ambizione
umana non si sono esaurite, il Progetto Newman non si è fermato. Per decenni ha
continuato i suoi esperimenti sulle cavie per creare soldati potenziati, killer
perfetti da inviare in missioni impossibili, macchine di morte senza anima che ignorano
l’esistenza del mondo. Almeno fino al giorno in cui uno di loro non riesce a
scappare.
molto ben scritto
RispondiEliminaRaffaele Abbate
grazie
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