Questo racconto lo scrivemmo per un contest dedicato ai vampiri. Per dimostrare che un tema sfruttato può sempre riservare delle sorprese.
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Ci risiamo. Come si fa a costruire una metropolitana in una
città dove basta infilare un dito nel terreno per trovare un reperto
archeologico? Siamo indietro con i tempi. Chi glielo dice adesso al geometra?
Mi faccio largo tra gli operai curiosi e snocciolo tre bestemmie delle mie. I
cunicoli mi mettono ansia e l’idea di infilarmi lì sotto proprio a fine turno…
Accendo il faretto sul casco e cerco di non pensare che sono ingrassato e che
il cunicolo è ancora solo un abbozzo. Giuro che se lì sotto non c’è la tomba di
Augusto, mi faccio i cazzi miei e faccio spianare tutto.
Terra umida e grassa, Pietrisco. Fuori trenta gradi e qua
sotto mi cago sotto dal freddo. Peggio di una catacomba. Ma dove l’hanno visto
‘sto sarcofago? Qualcosa mi cammina su per il polpaccio. Lo so che è solo
un’impressione. E poi il pericolo non viene mica da ragni, scarafaggi o topi.
Però prude, cazzo! Mi strofino e sento qualcosa di umido: una poltiglia di
ragno mi impasta i peli, che schifo. Mi pulisco con una manciata di terra mentre
continuo a muovere la testa per illuminare il più lontano possibile. Se mi
hanno fatto scendere qua sotto per niente se la vedono con me. Altro che turni
di riposo. Li faccio scavare pure il giorno di Ferragosto.
Eccolo. Pietra chiara sul fondo del tunnel. Non sembra
niente di che. Non è neanche scolpita. Però è una parete. Vuoi vedere che
abbiamo trovato sul serio la tomba di uno importante… Quelli delle Belle Arti
ci fanno il culo, altro che storie. Questa è proprio una cripta. Tre pareti di
travertino e la quarta l’abbiamo sfondata noi con la trivella. A ‘sto punto,
perso per perso, io un’occhiata la do. Trovassi qualche pezzo da rivendere…
Sapevo che sarebbe successo. Il paradosso del genere umano è
che non può vivere senza spargere sangue. Il salvifico odore del sangue. E il
sapore. Immergo le labbra nella pozza che stilla ai miei piedi. E’ come
rinascere. La vita che defluisce dal tuo corpo agonizzante mi riempie, mi
restituisce forza. Emergo dalla nuda terra, incontro i tuoi occhi e ritrovo la
pietà. Soffri ancora. La trappola è scattata e la lancia ha compiuto il tuo
destino. La trappola che era lì per me. Stolti. Davvero pensavate fosse facile
liberarsi di quelli della mia razza? Mio sfortunato amico, non sarei ancora qui
dopo quanto… dieci, cento, mille anni? Ritrovo brandelli di lana sul mio corpo
nudo e sempre più tonico ora che il tuo sangue si unisce al mio. Non resta
traccia della mia toga. Ma la pelle riprende colore mentre i tuoi occhi si
spengono. Vale.
Il mistero della metro C
Brancolano ancora nel buio gli inquirenti chiamati a
indagare sulla morte di Luigi Borghetti, 45 anni, operaio specializzato trovato
trafitto da una lancia all’interno di una cripta di età romana. L’uomo,
chiamato a fare un sopralluogo per il ritrovamento di resti archeologici in un
tunnel della nuova metropolitana, è stato trovato nudo e completamente
dissanguato dai colleghi, insospettiti dalla prolungata assenza. Al momento
nessuna ipotesi viene scartata. E se è stato scoperto il meccanismo che ha
fatto scattare la lancia, nessuno sa ancora spiegare che fine hanno fatto i
vestiti, il casco e, soprattutto, i resti del cittadino romano di epoca
imperiale tumulato nella nuda terra. Prassi questa piuttosto inusuale per
membri della nobiltà romana, quale doveva essere lo sconosciuto proprietario
della tomba.
Marinella accartoccia la copia del Messaggero del
giorno prima e la lancia nel cassonetto. Quel cantiere della metro, quello del
morto, è proprio vicino casa sua. Lì dove la periferia prende il suo aspetto
indeciso tra strade a scorrimento veloce, palazzine abusive e capannoni
industriali. Un panorama spettrale alla luce rossastra dell’illuminazione al
sodio mentre, traballando sulle zeppe da venti centimetri, torna alla stanza in
subaffitto. E’ stata una nottata fiacca. Ormai la concorrenza delle minorenni
slave e dei trans sta prendendo il sopravvento su quelle come lei. Prostitute
qualsiasi, tra i venti e i trenta, con tariffe oneste e la pretesa di usare il guanto.
Nella borsetta minuscola, imitazione di Gucci, ci sono 50 euro. Tutto quello
che è riuscita a guadagnare passeggiando avanti e indietro sul suo tratto di
marciapiede. Mo’ chi glielo dice a Dodi? Marinella è più stufa di prendere
schiaffi che cazzi. Fosse stata in centro, si sarebbe attardata a bere un caffè.
Ma lì non c’è niente, solo il cantiere della metro C, circondato dai bandoni
gialli e dai nastri della Polizia. Le da un brivido pensare all’operaio
impalato lì sotto. Un brivido che le si attacca addosso, come la merda dei cani
sotto le suole delle scarpe. Si guarda intorno, nella luce senza ombre. E’
sola, a parte le rare automobili che transitano sulla Casilina. Ma c’è uno
sguardo. Ne è sicura. Se lo sente strisciare addosso, acuminato come un
coltello, minaccioso. Affretta il passo, anche se significa correre incontro a
Dodi, portandogli soltanto 50 euro. Una miseria che non le perdonerà. Si
prepara a parare la mano pesante di anelli mentre, con un sollievo inaspettato,
riconosce da lontano la sagoma della Yamaha.
Non conoscevo la paura prima di trovarmi sbalzato in un
mondo che non è il mio. La parte più razionale di me mi impone di considerare
che il mio sonno può essersi protratto ben al di là delle mie supposizioni.
Quello che ho intorno è un universo sconosciuto. Una realtà che ha ingoiato la mia
città, lasciandone solo dei macabri resti dimenticati dagli uomini. Rovine.
Solo rovine restano dei fasti che sono appartenuti al mio tempo. Roma è caduta.
Come me si è addormentata per risvegliarsi tra mura grigie e luci fredde, sotto
un cielo privo di stelle, umiliata da un idioma straniero.
Ho paura di questo mondo, di questa gente che non mi vede né
mi teme. Uomini, donne e bambini confusi in una folla amorfa. Tutti. Meno lei.
Si è accorta di me. Sento il suo cuore battere in fretta,
pompare l’odore dolce del sangue oltre la barriera della pelle, arricchito
dall’aroma della paura. Ho sete. Tanta sete.
Gli ultimi passi di Marinella somigliano a una corsa. Quasi
stia per gettarsi tra le braccia di Dodi. Quasi sia un’innamorata che rivede
l’amato dopo tanto tempo e non una prostituta che va incontro all’ennesima
fregata di botte.
“Oh, frena. Che te stanno a rincore?”
Marinella si volta a guardare il tratto di strada percorso.
Ha il cuore in gola, ma l’asfalto è deserto e quasi lucido alla luce dei
lampioni.
“Allora?”
“E’ stata ‘na serataccia. Ce so troppe brutte facce in
giro.”
“Caccia li sordi, Marinè, che nun ce casco.”
Ecco, il momento è arrivato. Non ha senso mandarla per le
lunghe. Apre la borsetta e prende le banconote, le conta. Neanche fossero aumentate
nel frattempo. Le mette nella mano tesa di Dodi, senza alzare gli occhi.
“E questo che è? ‘Na presa per culo?”
Non le dà il tempo di rispondere. Le strappa la borsetta, la
fruga, poi la getta lontano. Non fa caso ai suoi occhi spaventati. Neanche la guarda
mentre, con un tono di voce che è tutto un programma le fa: “E’ che nun ce
metti passione. Manco come mignotta vali un cazzo!”
Il manrovescio non la coglie di sorpresa, ma fa male. Sente
le labbra rompersi, prese in mezzo tra anelli e denti. Il sapore del sangue è
salato e tristemente noto. Cade a terra e Dodi comincia con i calci.
L’odore è fortissimo. Da stordire. Non è solo il sangue e la
paura di lei. E’ la rabbia prepotente di lui. Lo guardo infierire sulla donna
come neanche un barbaro. La sete ha preso il sopravvento. Esco allo scoperto.
“Manco li carci te meriti”, dice Dodi cercando le sigarette
in tasca. “Che ce devo fa co’ te?”
Marinella vorrebbe rimanere lì, raggomitolata contro
l’asfalto caldo. Sa che qualsiasi cosa dica, servirà solo a riaccendere la sua
rabbia. Non sente dolore, quello arriverà dopo. Ma il freddo si. Sembra
avvolgerla come un bozzolo, costringendola a stringere i denti.
“Arzete, cammina.”
Dodi la prende per un braccio, sollevandola quasi di peso.
“Te ne devi guadagnà armeno artri cento prima de chiude
bottega.”
Marinella non lo ascolta, non lo guarda neppure. I suoi
occhi frugano la notte sanguigna dei lampioni, sgranati.
Mi ha visto. Incrocio il suo sguardo e mi assale una
sensazione che avevo dimenticato. Esisto. Il terrore nei suoi occhi è la mia
legittimazione. Il riconoscimento di questa nuova vita. Ma l’emozione non
basta. Ho bisogno di sangue. Tanto sangue.
Marinella non capisce l’ondata di orrore che la investe.
Quello che si avvicina rapidamente alle spalle di Dodi è un uomo. Un semplice
uomo, con le vesti di un operaio, troppo grandi per lui e chiazzate di scuro.
Forse un barbone. Eppure la voce le rimane incagliata in gola, mentre tenta di
avvertire Dodi del pericolo. Non fa in tempo. Marinella vede lo sconosciuto
mettere una mano sulla spalla di Dodi e costringerlo a voltarsi.
“Ma che caz…”
Il rumore è terribile. Disgustoso. Un gorgoglio vischioso
mentre tutto il corpo di Dodi freme, guizza, si consuma.
La bocca dello sconosciuto è sporca di sangue quando lascia
cadere l’involucro accartocciato di quello che era un uomo.
Marinella è caduta in ginocchio. Non crede, non vuole
credere a quello che ha appena visto. E’ ancora lì che cerca di convincere se
stessa che è tutta un’allucinazione quando il vampiro le porge la mano.
“Surge.”
E’ un sussurro gentile. Marinella non capisce, ma afferra la
mano. E’ fredda mentre l’aiuta a tirarsi in piedi. Lo sguardo del vampiro è
attratto dalla sua bocca insanguinata dal manrovescio e lei si ritrova a
pensare che sembrano tutti e due reduci da un banchetto.
“Ne time. Nolo tibi male facere.”
E’ latino. Una vaga reminescenza scolastica la assale e la
sconvolge. Neanche nella più fervida delle allucinazioni potrebbe immaginare
quelle parole.
Non capisce. Non può capire. La mia lingua, la lingua
dell’Impero più grande del mondo, è ormai morta. Mi guarda e l’orrore danza nei
suoi occhi unito alla curiosità. Il sangue sulle sue labbra promette delizie.
E’ bella come un’etera di Cipro e la brama che mi agita rivela la
profondità della mia solitudine. Sarebbe così facile spingerla a offrirmi la
tenera curva del collo. Ma spegnere la sua vita mi lascerebbe ancora più solo
in questo mondo che non mi appartiene.
Le dita fredde scivolano via da quelle di Marinella e lei
batte le palpebre, come risvegliata da un sogno. Il vampiro fa un passo
indietro e le indica la strada deserta. La lascia libera. Libera di correre
via, di rivedere la luce del sole. Marinella esita. Fa qualche passo, poi si
volta a guardarlo. Lui è sempre lì, ombra tra le ombre, immobile. Lei non sa se
riesce a scorgere il sorriso che le distende timido le labbra dolenti. Ciò che
sa con certezza è che qualcosa li ha uniti, qualcosa che non svanirà con le
prime luci dell’alba ma tornerà a trovarla ogni sera, nella notte sanguigna dei
lampioni.
Laura Costantini – Loredana Falcone
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