Si chiama Linda e ha una bambina, ma
potrebbe chiamarsi Vincenzo che invece è solo e felice di esserlo. Il nome, il
sesso, la storia che ha alle spalle poco contano. Questa persona vive in uno
stato che potremmo definire condizionale presente. Perché questa persona sembrerebbe
un lavoratore dipendente da molti anni. Anni durante i quali ha vissuto, amato,
ha avuto figli, ha preso in affitto una casa e azzardato l’acquisto di
un’automobile. Un acquisto a rate, reso possibile da una busta paga che parrebbe
quella di un essere umano dotato di quella cosa noiosissima che risponde al
nome di posto fisso. Parrebbe. In realtà Vincenzo, ma potrebbe chiamarsi Sara e
avere il desiderio di sposarsi, assume le vesti di lavoratore dipendente soltanto
per otto mesi l’anno. Da tanti anni. Sara, ma potrebbe chiamarsi Giovanni e
star per divorziare, non è una ragazzina. La generazione mille euro che tanta
fortuna riscuote al cinema e in libreria non è la sua. Giovanni, ma potrebbe
chiamarsi Antonella e non avere il coraggio di chiedere un mutuo, è nato e
cresciuto nel mito del posto fisso, sì, quello noioso. I suoi genitori gli
hanno detto che doveva studiare. Un diploma, anche meglio una laurea. E poi
fare i concorsi. Quelli da 103 posti per 103mila candidati. Antonella, ma
potrebbe chiamarsi Giuseppe e non sentirsela di legarsi a qualcuno vista la
situazione, ha fatto come le è stato detto. Ha studiato. Ha fatto i concorsi.
Non è servito. A un certo punto, ha letto sui giornali che quell’anno,
lavorativamente parlando, si portava la flessibilità e che un bel contratto
co.co.co era quello che ci voleva per lanciarsi nel mondo del lavoro. Giuseppe,
ma potrebbe chiamarsi Priscilla e aver studiato per tutt’altro lavoro, si è
anche sentito molto al passo con i tempi quando ha firmato il suo primo
contratto a tempo determinato. Tre mesi, sei, nove, non conta. Tanto non è per
sempre. Priscilla sapeva che, prima o poi, il posto fisso sarebbe arrivato. E
lei sarebbe stata una lavoratrice dipendente. Vera. Priscilla, ma potrebbe
chiamarsi Marco e nel frattempo aver compiuto 50 anni, ha firmato fogli dove
affermava di non aver nulla a pretendere. Ha giurato che mai e poi mai avrebbe
fatto causa all’azienda. In compenso Marco, ma potrebbe chiamarsi Luciana,
lavorare da precario da 25 anni e avere l’età in cui sarebbe giusto andare in
pensione, è stato inserito in un bacino. Ha ottenuto la promessa di
un’assunzione. Non una promessa vaga. Hanno fornito una data: entro il 31 marzo
2012. Luciana, ma potrebbe chiamarsi Antonio ed essersi nel frattempo
affezionato alla precarietà, doveva firmare il contratto a tempo indeterminato
ieri. Ma ha ricevuto una telefonata: motivi tecnici, tutto rimandato. Ci faremo
sentire. Antonio, ma potrebbe chiamarsi Francesca e aver avuto una crisi di
panico dopo aver riattaccato, ha una sola certezza. Al 31 marzo mancano 11
giorni. O almeno dovrebbero.
Laura Costantini
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti non espressamente firmati e/o sgradevoli verranno cancellati dalle proprietarie di questo blog.